Ci sono cose difficili da spiegare. Altre difficili da comprendere. Altre ancora si muovono dentro complesse stringhe di codice compilate da personalità autistiche, oppure da ciechi afflitti da morbo di Parkinson che compilano formule matematiche sulla riva di un lago per nulla dormiente, anzi, fortemente schiaffeggiato da tempeste invernali. Ecco, GustoForte è stato nella mia esistenza un magone sofferente sempre sul punto di esplodere in rabbia primordiale, un progetto da diluire nel tempo, in modo omeopatico, per noia esistenziale, per malinconia progettuale. Nei primissimi anni ottanta promessa della sperimentazione performativa italiana, con un vinile ricercatissimo tra i mercanti di 33 giri. Poi silenzi, ritorni, mute partecipazioni alla platea che affolla la mia solitudine. Poi, il dicembre scorso, un concerto improvviso. A Roma. Forse altri ritorni. Probabili altri progetti. Nulla o tutto. Non conosco le mezze misure. Conosco poco l’eccesso che mi corre dentro.