La volta che sognai Osama bin Laden che officiava il grande sacrificio nel tempio di Equitalia, accompagnato dalla muta di omuncoli rateizzati e il grande quesito esistenziale: Grand Menhir di Locmariaquer o albero del cane?

Bin Laden

Forse le prelibatezze, ma ahimè anche la pesantezza, contenute nella cena di ieri sera, depredata con voracità degna di un ominide affetto da un bipolarismo non eccelso, è stata fatale. Poi forse le notizie che, con voracità anche quelle, ingurgito come un formichiere alla fiera dell’insetto salsicciotto, hanno fatto il resto. E che resto. Un vero incubo che neppure Timothy Leary in vena gioconda e giocosa poteva immaginare. Ancora ho la testa che vaga senza meta attorno al mio corpo, le tempie che fingono un foxtrot claudicante mentre il respiro è dimentico della sua funzione primaria. Il letto però è quasi intatto, monumento al prevedibile uso: la cosa è sospetta, prefigura che il mio sonno è stato provvisoriamente terminale, un fatuo ondeggiare tra la vita e le vite, quelle assolutamente non mie, ma che diventano mie per usucapione oppure per difetto del codice civile. Il sogno, ma è stato solo un sogno? oppure un divinare autistico e insolente? Ricordo lo spazio, enorme e cupo, con i marroni accesi e arancioni splendenti; anfiteatro spaventoso pieno di gente urlante, posseduti dalla furia, ardente e folle, dell’adulazione solenne, quella che accompagna il canto sbraitante del dittatore, oppure del Santo, quando avanza attraverso la collina e tutti esigono il miracolo per raccontare non il miracolato ma il miracolo stesso, quasi uno spettacolo privato tra un singolo e la moltitudine che sprigiona il Testimone del divino. In questa sinfonia monotona di grida pulsanti ecco apparire il figlio di tutti gli Dei che l’uomo a creato: dal fondo di un palco potente come un altare, eccolo!!! Nudo, ma con quella aristocratica nudità che nasconde tutti i vestiti del mondo e con una muta di cani che trascina il suo corpo celeste. Ma non sono cani quelli, non sono feroci bestie da lanciare per sfamare la sua atavica noia. Sono ominidi a quattro zampe, feroci anche loro, ma con loro stessi. E lui adesso lo vedo, è Osama bin Laden, quello morto con la faccia spiaccicata sul pavimento di un Pakistan qualsiasi e poi gettato macinato al delirio dei pesci dell’oceano. Non è morto allora. Io sono tra le folla ma sono solo: queste cose dei sogni mi fanno incazzare, la possibilità di essere e fare contemporaneamente mille cose tutte insieme, un tentativo d’emulare lo Spirito Santo, misterioso essere né umano né divino. Quella muta di omuncoli che sembrano cani feroci ma sono solo uomini in preda all’adulazione del capo branco, guardano Osama bin Laden come figli illegittimi di Abramo, timorosi ma orgogliosi di essere squartati per amore. Improvvisamente capisco dove sono: il Tempio Sacro dei debiti e Osama è il gran sacerdote. La muta di omuncoli- cane sono solo gli storpi delle tasse, quelli che hanno rateizzato la loro anima per sempre. Guardo meglio strappandomi la miopia dagli occhi e scopro che hanno tutti la faccia di Abu Bakr al-Baghdadi, l’adulatore senza sesso che desidera la deflorazione del Capo, qualsiasi esso sia. I cani omuncoli mi guardano con ferocia soave e vengo trascinato sopra l’altare. Un delirio di grida, pianti e singhiozzi da spina di pesce che non va né su né giù. Osama si piega su di me e comincia a leccarmi il cuore con la sua lingua sporca di grasso e inchiostro. Leccandomi lascia sulla mia pelle lettere alla rinfusa che si rincorrono sul mio corpo. Alla fine un tatuaggio furente colonizza la mia pelle, una cartella esattoriale firmata da Dio. È il giudizio universale penso, le tasse dell’esistenza sono arrivate e devi pagare per forza anche se sei senza tasche: nessuna deroga, nessuna rateizzazione eterna, nessun piccolo e innocuo giudice di pace ti può salvare. Le folla è in delirio, saliva mista a minestrone ruba spazio all’aria dell’anfiteatro. Poi Osama bin Laden si avvicina alla mia bocca e comincia ad urlarmi dentro: “vuoi essere Grand Menhir di Locmariaquer oppure albero del cane?” Il quesito mi turba, mi fa gonfiare la pancia, eruzioni cutanee cancellano malamente il tatuaggio esattoriale. Cosa voglio essere? Un oggetto divino che traccia il disegno delle stelle, che svela tutte le vie dell’universo, oppure l’albero segnato, utile non lo nego, dal cane e del miserabile, pitale vegetale, scrigno d’urine appassite e malandate. Cosa voglio essere e cosa sono adesso? La testa è un turbinio di risposte sussurrate, non riesco a sentire nulla, solo il rumore della mia saliva che monta a neve nella mia bocca. Osama bin Laden urla ancora più forte dentro di me. “ l’Aid el-Khebir arriverà eterno per te, accompagnato dal montone con la vagina. Scegli! Grand Menhir di Locmariaquer o albero del cane?”. Mi sveglio ma dormo ancora. Poi mi risveglio ma è solo il sogno che si riaddormenta. Appare rabbioso il montone con la vagina che latra amore perduto, scomparso, mai nato, falso e ingannatore. Cosa sono adesso, cosa sono quando mi sveglio fintamente dentro un sogno? Grand Menhir di Locmariaquer o albero del cane?

Roberto Giannotti