Quelli con la faccia da Matteo Renzi continuano a pedinare la nostra esistenza

Il giovine Matteo Renzi detto brontosauro

 

Non voglio tirar in ballo, come un Bruno Vespa qualunque, le teorie estetico-antropologiche del buon vecchio Cesare Lombroso, ma la faccia di Matteo Renzi, con la sua forma e gradazione di Luschan, con quello sguardo appena affacciato che si contrappone alla bocca strettissima, fessurina inopinatamente allargata, è scrigno quel volto, zeppo di sensazioni e ricordi incontenibili. Non voglio neppure farmi trascinare nelle boutade che su di lui si raccolgono in rete, tipo quella che contrappone la sua presunta appartenenza sinistra, all’intelligenza di Simona Ventura. Non voglio fare ciò, gettarmi nella più truce analisi politica con le armi della commedia di Nando Cicero. No! non voglio che lo spirito italico del qualunquismo imperante mi tiri per la giacchetta. Anche perché ancora non ho fatto il cambio di stagione per congenita pigrizia romana. Ecco! La faccia del Matteo Renzi è una scultura di carne anni80, un dipinto iperrealista sul decennio inutile del XX secolo. E noi, poveri tapini esistenzialisti, mesti ometti che si barcamenano alla meno peggio per affrontare il presente, tutti noi – nessuno escluso – abbiamo avuto per conoscente e, alle volte tragicamente per amico, uno con la faccia da Matteo Renzi. Sputato. Uguale. Identico. E quelli con la faccia da Matteo Renzi ahimè son tutti uguali, pensano tutti allo stesso modo e si muovono ciondolanti come copie fotostatiche davanti i nostri occhi. Poco importa se si chiaman Barilari, Ricciardi, Volpetti o appunto Renzi: sono tutti ugualmente fatti con lo stampino. Sono il tormento della nostra adolescenza quelli con la faccia da Matteo Renzi, saputelli e sempre in ordine, con quelle camicette celestine e il maglioncino a V, simbolo perdurante dei mesti ottanta. Sapevan tutto di tutto, di calcio come di automobilismo, di scienze come di ferramenteria. Bravi, non posso dir di no, ma terribilmente noiosi. E ahimè utilissimi. Prenotavano il ristorante per tutti, facevan copie su cassetta dell’album del momento, potevi chieder loro consiglio sul rumorino inquietante del motorino. Amavano i Bee Gees (ma solo gli album vecchi), i Supertramp (ma solo gli album vecchi) e Diana Ross (ma solo gli album vecchi) quelli con la faccia di Matteo Renzi. Poi i cantautori tutti (ma solo quelli che passavano anche alla radio) e i complessi non complessati. Si irritavano con il punk, la new wave e finanche con il reggae. Non scopavano ma limonavano. Con costanza bradipa. Quelli con la faccia da Matteo Renzi erano un poco fascisti, un poco socialisti e per niente comunisti: democristiani insomma. Crescendo poi, facoltà di economia a gogò, qualcuno giurisprudenza: ma la quasi totalità scienze politiche. E così orde di quelli con la faccia di Matteo Renzi hanno occupato ogni cosa occupabile, raccomandati ma con grazia: hanno colmato con la loro retorica attempata tutte le possibili vie di fuga. Quelli con la faccia da Matteo Renzi sono neosauri affamati di qualunque potere, anche quello per la presidenza del condominio. Ovunquele mandrie di quelli con la faccia di Matteo Renzi hanno invaso tutto e di tutto: brucano tranquilli ogni forma di vita, ogni sagoma di speranza. Siamo circondati, si riproducono come conigli affetti da priapismo incontinente e conquisteranno il mondo quelli con la faccia da Matteo Renzi. E noi come tribù nomadi a cercar la terra promessa: quella dove vive l’intelligenza.

 

 

Roberto Giannotti