Dopo i tre archi trovi Testaccio

Ritratto della'artista da giovane

Testaccio è chiuso a sud da mura antiche che formano archi imponenti. Sono 5 archi. Ma per noi che viviamo a Testaccio da sempre sono tre. I tre archi. Siamo fatti così. Costruiamo la nostra realtà con la fantasia di un popolo intero. Quasi una razza. Una razza mentale, che vive nelle nostre teste, nella nostra coscienza. Qualche tempo fa ho sentito chiedere un’informazione ad una testaccina. L’esatta collocazione di un parcheggio. La testaccina comincia a spiegare la direzione da prendere e quello risponde “verso i cinque archi?”. La testaccina continuava imperterrita a ripetere “…dopo lì tre archi…” e quello si ostinava a ripetere cinque. Il “mavattelapiainderculo” è stato potente e irreversibile. Sì, perche noi di Testaccio, odiamo i nuovi abitanti del rione. Una marmaglia piccolo borghese che si è riversata nelle case con la complicità dell’aumento iperbolico delle case. Una valanga di attori del “nuovo cinema italiano”, di architetti sulla via della santità, di funzionari dello Stato senza stato e politici dismessi. Invadono le nostre vite. Si impossessano della nostra storia, dei nostri luoghi con la violenza ottusa della stupidità congenita. Loro credono di essere nati e vissuti nel Rione da sempre. Ma sanno della nostra intolleranza. Perché i testaccini sono intolleranti verso gli idioti. Da sempre. Riconosciamo gli idioti a metri di distanza. Da come odorano, da come si muovono. Noi siamo nati sopra una discarica e sappiamo riconoscere i rifiuti di questo mondo. Siamo cresciuti tra oratori, bande della Magliana e rivoluzionari sempre perdenti. Siamo il sangue marcio di questa città morta da tempo. Tanto tempo. Siamo i figli di un fiume pieno di storie e menzogne, siamo genitori di figli arrabbiati con Dio. Testaccio è una cantilena assordante di storie senza fine che nessuno ci porterà mai via. Camminiamo in mezzo alla strada perché nessuno è attorno a noi. Sorridiamo per ogni disgrazia del mondo perché nulla ci può far più male. Siamo i becchini di noi stessi. Lasciateci vegliare in pace il nostro funerale incessante.

Roberto Giannotti