GustoForte: Quinto Quarto. Un flusso ipnotico, un postvoto psichedelico.

GustoForte: Quinto Quarto

 

Roma è una città ossimoro. Antitesi di Storia e storie. Contraddizione perenne tra cemento e popolo. Tra libertà e ragione. Tra sesso e desiderio di annullamento. Gli abitanti della città costruiscono la realtà con l’immaginazione di un popolo intero, quasi fossero una melma policefala, una muffa melmosa unicellulare in grado di compiere straordinari prodigi, quasi al limite dell’intelligenza animale. Del resto cosa si vuole da una genia che è abituata a perpetuare se stessa sopra una discarica infinita di morti? L’unica stirpe che ha assassinato un dio senza macchiarsi le mani di sangue, che ha partorito papi e nutrito principi e duci. Figli perenni di un fiume pieno di storie, menzogne e merda. Sorridono per ogni disgrazia del mondo perché nulla può far più male. Becchini di se stessi, vegliano il loro funerale incessante. Altro che “grandi bellezze” e retoriche da asfittiche carampane della sinistra illustrata. GustoForte nasce e si forma dentro quel brodo d’ossa e carni malsane unico al mondo, e torna dopo trent’anni con un album carico di rancore, malinconia odio e passione infinità per la loro città. Tornano dopo trent’anni con un lavoro che è post-tutto e lo chiamano “Quinto Quarto”, come l’ingrediente principe della cucina romanesca: intestini, cuori, stomaci, reni, lingue, interiora animali che rappresentavano il cibo misero del popolo sovrastato. Ma per GustoForte, il “Quinto Quarto”, sono anche i resti della Società dello Spettacolo, una discarica composta da culture in disuso, suoni manomessi, rumori di fondo della contemporaneità. Un flusso ipnotico, un postvoto psichedelico, che scorre indolente come il Tevere, sangue pesto nelle vene della città. Come nel brano “Quinto Quarto”, dove il fiotto nowave si frantuma dentro un tribalismo estatico e centrifugato. Poi “Divino Amore (con Resilienza Morbosa) ”, un tango apocalittico che pare uscito da un improbabile incontro tra un posteggiatore d’osterie romano e un combo di extracomunitari africani in preda ad una malattia neurodegenerativa terminale. Li appare il cantato di GustoForte, una lingua composta da residui di frasi spezzate da una glottide balbuziente, una mescolanza di lingue che compongono il sottofondo udibile nelle periferie romane. E ancora “MaglianaSettanta (per Nastro Magnetico) ”, un rito pagano lurido ed osceno, che si perde all’interno di un tribalismo impotente e senza via d’uscita. Poi arriva “Natura Morta in via Cesare Beccaria, 22 (per Vhs, Giradischi e Strappi Improvvisi) ”, lungo brano dedicato a Fabio Sargentini e alla sua galleria d’arte “L’attico”, ultimo momento di vitalità culturale della città di Roma, uno spazio dove si scontravano le personalità più originali dell’arte internazionale: da Gino De Dominicis a Luigi Ontani, passando per Jannis Kounellis, Alighiero Boetti, Terry Riley, La Monte Young, Philip Glass, Steve Reich, Charlemagne Palestine, Joan La Barbera. Un brano diviso in quattro parti (*ore 20.30 De Dominicis, *ore 21.48 Ontani, *ore 22.56 Schifano non passa, *ore 23.59 Boetti), che ospita al suo interno il canto fonetico di Terra Di Benedetto dell’Albergo Intergalattico Spaziale, una delle formazioni più originali dell’avanguardia musicale italiana degli anni settanta. Un brano che riscrive il senso e il significato perduto della psichedelia sperimentale italiana. Un viaggio senza ritorno all’interno dello spazio e del “tempo romano”. “Quinto Quarto”, un lavoro fondamentale per la sperimentazione musicale italiana, un ritorno incredibilmente attuale per una delle formazioni più stranianti ed originali del panorama europeo: GustoForte.

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Roberto Giannotti